Il decalogo del terapeuta

Introduzione

La definizione di linee guida per l’esercizio della professione psicoterapeutica rappresenta un tema di cruciale importanza nel panorama attuale della salute mentale. I “decaloghi” finora proposti dagli ordini professionali si sono concentrati prevalentemente sugli aspetti formali e deontologici della relazione terapeutica, lasciando in secondo piano le peculiarità metodologiche e tecniche dei diversi orientamenti teorici, in particolare di quello psicodinamico.

La riflessione che segue intende esplorare come gli elementi essenziali dell’approccio psicodinamico possano integrarsi con i principi deontologici già codificati, creando una cornice di riferimento più completa per il professionista in formazione, arricchita dall’esperienza personale e dalle considerazioni di un terapeuta ad orientamento psicodinamico.

Il Panorama Attuale dei Decaloghi Professionali

Nell’affrontare il tema del decalogo dello psicoterapeuta, emergono riflessioni che intersecano sia l’orientamento teorico-metodologico dell’intervento stesso, sia questioni di etica e deontologia professionale. L’attuale panorama presenta un’ampia gamma di tecniche e modalità di intervento psicologico/psicoterapeutico, rendendo necessaria una riflessione approfondita su quali siano i principi fondamentali che guidano la pratica professionale.

Gli ordini professionali hanno cercato di fornire risposte in tal senso, focalizzandosi principalmente sull’etica e la deontologia delle competenze dell’intervento in un’ottica di trasparenza, verificabilità e concordanza degli obiettivi terapeutici. Il “Decalogo dello Psicologo” dell’Ordine Nazionale degli Psicologi e la sua estensione alla psicoterapia pongono entrambi l’accento sui diritti del cliente e sui doveri formali del professionista.

Questi decaloghi, pur essendo fondamentali, sembrano però porre maggiore enfasi sui diritti del cliente che sulla protezione/cura dell’intervento stesso. Come terapeuta ad orientamento psicodinamico, ritengo che questa impostazione, sebbene necessaria, non sia sufficiente a definire la complessità dell’intervento psicoterapeutico, specialmente quando esso si inserisce in una cornice teorica psicodinamicamente orientata.

Dal Decalogo Formale all’Identità Professionale del Terapeuta Psicodinamico

I decaloghi esistenti si focalizzano principalmente sulla tutela del paziente e sulla trasparenza dell’intervento, definendo un quadro normativo essenziale ma non sufficiente a caratterizzare la specificità dell’intervento psicodinamico. Come osserva Gabbard (2017), “la psicoterapia psicodinamica non è solo una tecnica ma un modo di concepire la mente umana e le relazioni interpersonali” (p.45).

L’enfasi posta dai decaloghi esistenti sui diritti del cliente e sui doveri formali del terapeuta, pur essendo fondamentale, non cattura elementi cruciali che costituiscono il cuore dell’approccio psicodinamico:

  1. La centralità dell’alleanza terapeutica come strumento di cambiamento
  2. L’importanza del transfert e controtransfert come veicoli di comprensione profonda
  3. La gestione del setting come contenitore simbolico con valenza terapeutica
  4. L’elaborazione dell’inconscio e dei processi difensivi come obiettivo centrale
  5. La regolazione della distanza relazionale come elemento terapeutico

Questi elementi, che rappresentano il nucleo essenziale dell’identità professionale del terapeuta psicodinamico, richiedono una riflessione che vada oltre la semplice enunciazione di diritti e doveri, per addentrarsi nella complessità della relazione terapeutica come strumento di cambiamento.

Il Setting come Cornice Simbolica e la Questione dell’Astinenza

Come sottolineato nel testo di partenza, particolare attenzione merita la questione del setting e dell’astinenza dal contatto fisico. Questa dimensione, che può apparire come una mera prescrizione deontologica, rappresenta in realtà un elemento fondante dell’approccio psicodinamico, che va compreso nella sua valenza simbolica e terapeutica.

Come terapeuta, ho potuto constatare che il setting non è semplicemente un insieme di regole formali, ma un contenitore simbolico che permette l’emergere di contenuti inconsci in un contesto sicuro. McWilliams (2011) (p.87).

La questione dell’astinenza dal contatto fisico, in particolare, rappresenta un esempio emblematico di come una regola apparentemente formale nasconda in realtà un principio terapeutico fondamentale. L’astinenza, infatti, non va intesa come freddezza emotiva o distacco, ma come capacità di mantenere una posizione che favorisca l’elaborazione psichica, evitando di cedere all’agito e permettendo la simbolizzazione.

Nella mia esperienza clinica, ho osservato come il rispetto di questo confine, lungi dall’essere un ostacolo alla relazione, rappresenti al contrario una condizione necessaria per il suo sviluppo a un livello più profondo. Kernberg (2016) sottolinea infatti che l’astinenza “non va intesa come freddezza emotiva, ma come capacità di mantenere una posizione analitica che favorisca l’elaborazione psichica” (p.132).

Questi “limiti” che definiscono il setting sono spesso messi in discussione ed attaccati sia dal paziente, sia, talvolta inconsapevolmente, dal terapeuta stesso. Quando questi confini vengono violati, non solo si “azzoppa o uccide” la possibilità di cambiamento, ma si squalifica l’intera categoria professionale, rendendo più difficili eventuali interventi futuri.

Verso un Decalogo Psicodinamico: Una Proposta Personale

Integrando i principi deontologici formali con la mia esperienza clinica e la cornice teorica psicodinamica, ritengo che un decalogo dello psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico dovrebbe includere:

  1. Capacità di ascolto profondo: Sviluppare una modalità di ascolto che vada oltre il contenuto manifesto per cogliere le comunicazioni inconsce e i significati latenti.
  2. Consapevolezza del controtransfert: Riconoscere e utilizzare le proprie reazioni emotive come strumento di comprensione del mondo interno del paziente, distinguendo ciò che appartiene a sé da ciò che è indotto dalla relazione.
  3. Gestione del setting come strumento terapeutico: Mantenere la coerenza del setting non come fine in sé, ma come contenitore simbolico che facilita il processo di elaborazione psichica.
  4. Utilizzo terapeutico del transfert: Riconoscere le dinamiche transferali e utilizzarle come via privilegiata di accesso ai modelli relazionali del paziente.
  5. Astinenza terapeutica: Evitare di soddisfare i bisogni regressivi del paziente per favorire l’elaborazione simbolica e il processo di separazione-individuazione.
  6. Tolleranza dell’incertezza: Sviluppare quella che Bion chiamava “capacità negativa”, ovvero la capacità di rimanere nell’incertezza senza ricorrere prematuramente a spiegazioni razionalizzanti.
  7. Attenzione ai propri limiti: Riconoscere i propri punti ciechi e le aree di vulnerabilità personale che possono interferire con il processo terapeutico.
  8. Impegno alla formazione continua: Considerare la propria formazione non come un percorso concluso, ma come un processo continuo che include supervisione, confronto con i colleghi e aggiornamento teorico.
  9. Etica della responsabilità: Assumere la responsabilità dell’intervento terapeutico, riconoscendo la asimmetria della relazione e utilizzandola in senso terapeutico.
  10. Rispetto dell’unicità del paziente: Evitare di imporre modelli interpretativi preconfezionati, riconoscendo la singolarità del percorso di ciascun paziente.

Questi principi, che derivano dalla mia esperienza clinica e dalla riflessione teorica sull’approccio psicodinamico, non sostituiscono ma integrano i decaloghi deontologici esistenti, arricchendoli con una dimensione più specificamente clinica e metodologica.

La Formazione Personale come Nucleo dell’Identità Professionale

Un elemento centrale nella definizione dell’identità professionale dello psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico è rappresentato dal percorso di formazione personale. Questo percorso non è un semplice adempimento formale, ma una condizione necessaria per lo sviluppo di quelle capacità che caratterizzano l’approccio psicodinamico.

Nella mia esperienza formativa, ho potuto constatare come la conoscenza del proprio mondo interno rappresenti uno strumento indispensabile per poter distinguere ciò che appartiene a sé da ciò che appartiene al paziente. Etchegoyen (2005) (p.213).

La formazione personale diventa così il luogo in cui si sviluppa quella “capacità negativa” che Bion (1970) descriveva come l’abilità di “stare nell’incertezza senza irritante ricerca di fatti e ragione” (p.125). Questa capacità, che rappresenta un elemento distintivo dell’approccio psicodinamico, non può essere acquisita attraverso la sola formazione teorica, ma richiede un lavoro personale profondo e continuativo.

L’Integrazione tra Deontologia e Clinica: Un Dialogo Necessario

I decaloghi esistenti pongono giustamente l’attenzione sulla tutela dei diritti del cliente e sui doveri professionali dello psicoterapeuta, fornendo un quadro legislativo di intervento chiaro che può permettere ad entrambi l’esplicitazione di un contratto terapeutico. Queste norme sono a tutela sia del paziente che del terapeuta.

Tuttavia, come terapeuta ad orientamento psicodinamico, ritengo che sia necessario integrare questi aspetti formali con una dimensione più specificamente clinica e metodologica. Il rispetto dei principi deontologici, infatti, non garantisce di per sé l’efficacia dell’intervento terapeutico, che richiede la padronanza di strumenti tecnici e teorici specifici, nonché una continua riflessione sul proprio operato.

In questa prospettiva, il decalogo dello psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico che propongo non si pone in alternativa, ma in integrazione con i decaloghi deontologici esistenti, arricchendoli con una dimensione più specificamente clinica e metodologica.

La Posizione del Terapeuta: Tra Neutralità e Coinvolgimento

Un elemento particolarmente critico nella definizione dell’identità professionale del terapeuta psicodinamico riguarda la posizione da assumere nella relazione terapeutica. La tradizionale “neutralità” analitica è stata oggetto di numerose revisioni critiche, che hanno messo in luce come essa non coincida con una posizione di distacco emotivo o di assenza di coinvolgimento.

Nella mia esperienza clinica, ho potuto constatare come la posizione del terapeuta oscilli continuamente tra neutralità e coinvolgimento, in un equilibrio dinamico che rappresenta uno degli elementi più complessi e delicati della relazione terapeutica. Ogden (2012) parla a questo proposito di una “posizione del terzo analitico”, che non è né quella del paziente né quella del terapeuta, ma una posizione intersoggettiva che emerge dall’incontro tra i due.

Questa concezione della posizione terapeutica va ben oltre la semplice prescrizione di non instaurare rapporti di amicizia con il paziente, come indicato nei decaloghi esistenti. Essa implica una continua oscillazione tra coinvolgimento e distanza, tra empatia e osservazione, che rappresenta uno degli strumenti più potenti e al contempo più delicati dell’approccio psicodinamico.

Il professor Zapparoli nei suoi incontri / seminari con noi “irrisarcibili” la descriveva coma “la possibilità di mettersi e togliersi gli occhiali”

La Dimensione Etica dell’Intervento Psicodinamico

L’integrazione tra deontologia e clinica psicodinamica solleva inevitabilmente questioni di natura etica che vanno oltre il semplice rispetto di norme codificate. L’etica dell’intervento psicodinamico, infatti, non si esaurisce nel rispetto formale di regole, ma implica una responsabilità più profonda verso il paziente e verso il processo terapeutico stesso.

Nella mia pratica clinica, ho potuto constatare come questa responsabilità si manifesti in una continua tensione tra il rispetto dell’autonomia del paziente e la necessità di guidare il processo terapeutico. Symington (2013) parla a questo proposito di una “etica dell’ascolto”, che implica la capacità di accogliere la sofferenza del paziente senza imporre soluzioni preconfezionate, ma anche senza abdicare alla propria responsabilità di guida del processo terapeutico.

Questa dimensione etica, che permea l’intero intervento psicodinamico, va ben oltre il semplice rispetto di norme deontologiche, per toccare questioni fondamentali relative al senso stesso della pratica terapeutica e alla concezione dell’essere umano che la sottende.

Conclusioni: Verso una Sintesi tra Deontologia e Clinica

La definizione di un decalogo dello psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico rappresenta un’opportunità per integrare i principi deontologici formali con gli elementi sostanziali che caratterizzano questo approccio. Non si tratta solo di stabilire regole di comportamento, ma di definire uno stile di intervento radicato in una precisa concezione della mente umana e della relazione terapeutica.

In questa prospettiva, il decalogo non è solo uno strumento di tutela del paziente e del terapeuta, ma una bussola per orientare il processo di formazione continua del professionista, in un dialogo costante tra teoria, pratica clinica e riflessione personale.

Come terapeuta ad orientamento psicodinamico, ritengo che l’integrazione tra i principi deontologici formali e le specificità metodologiche e cliniche dell’approccio psicodinamico rappresenti una sfida fondamentale per la psicoterapia contemporanea. Una sfida che richiede una continua riflessione critica sul proprio operato e una costante apertura al dialogo con approcci diversi, nel rispetto di quei principi fondamentali che caratterizzano l’identità professionale dello psicoterapeuta psicodinamico.

La proposta di un decalogo che integri aspetti deontologici e clinici non ha la pretesa di essere esaustiva o definitiva, ma piuttosto di stimolare una riflessione che coinvolga l’intera comunità professionale, nella consapevolezza che l’identità del terapeuta psicodinamico si costruisce in un continuo dialogo tra teoria, pratica e dimensione personale.

Bibliografia

Bion, W.R. (1970). Attenzione e interpretazione. Armando Editore.

Etchegoyen, R.H. (2005). I fondamenti della tecnica psicoanalitica. Astrolabio.

Gabbard, G.O. (2017). Psicoterapia psicodinamica di lunga durata: Un manuale. Raffaello Cortina Editore.

Kernberg, O.F. (2016). Le relazioni nei gruppi: Teoria e tecnica della psicoterapia psicoanalitica. Raffaello Cortina Editore.

Lancini, M. & Madeddu, F. (2014). Giovani adulti: La crisi del trentenne nella società che non cresce. Raffaello Cortina Editore.

Lingiardi, V. & McWilliams, N. (2018). PDM-2. Manuale diagnostico psicodinamico. Raffaello Cortina Editore.

McWilliams, N. (2011). La diagnosi psicoanalitica: Struttura della personalità e processo clinico. Astrolabio.

Mitchell, S.A. & Black, M.J. (2018). L’esperienza della psicoanalisi: Storia del pensiero psicoanalitico moderno. Bollati Boringhieri.

Ogden, T.H. (2012). Riscoprire la psicoanalisi: Pensare e sognare, imparare e dimenticare. CIS Editore.

Stern, D.N. (2007). Il momento presente: In psicoterapia e nella vita quotidiana. Raffaello Cortina Editore.

Symington, N. (2013). Diventare una persona: La psicoterapia come viaggio di trasformazione. Giovanni Fioriti Editore.

Winnicott, D.W. (2005). Gioco e realtà. Armando Editore.

Bromberg, P.M. (2009). Svegliare il sognatore: Percorsi clinici. Raffaello Cortina Editore.

Fonagy, P. & Target, M. (2001). Attaccamento e funzione riflessiva. Raffaello Cortina Editore.