Introduzione
L’approccio trigenerazionale rappresenta una prospettiva fondamentale nella comprensione delle dinamiche familiari e relazionali che influenzano il processo terapeutico. Questo articolo esplora come la considerazione della famiglia d’origine, sia del paziente che del terapeuta, possa arricchire la pratica della psicoterapia dinamica breve, fornendo strumenti concettuali per un intervento clinico più efficace.
La prospettiva trigenerazionale: fondamenti teorici
L’osservazione della famiglia trigenerazionale affonda le proprie radici nel quadro teorico sistemico-relazionale sviluppatosi intorno alla metà del secolo scorso. Questo approccio si basa sia sulla teoria dei sistemi sia sugli assunti della “seconda cibernetica”, che ha segnato un importante passaggio epistemologico nella definizione della realtà: da una concezione di realtà esterna oggettiva indipendente dall’osservatore, si è passati a un modello complesso in cui sistema osservato e osservatore sono in interazione dinamica, dove soggetto e oggetto, conoscente e conosciuto fanno parte dello stesso sistema (Bertrando & Toffanetti, 2000).
I pionieri della terapia familiare, insoddisfatti dall’approccio classico duale della terapia, hanno esteso il loro intervento terapeutico alla famiglia d’origine del paziente, intuendone le potenzialità evolutive, spinti dalla consapevolezza dell’influenza emozionale e psicologica che i familiari esercitavano sul paziente. Il paradigma fondamentale della terapia familiare sostiene che per modificare il “paziente designato” sia necessario intervenire sul suo contesto familiare.
Dall’approccio nucleare a quello trigenerazionale
L’ampliamento dell’unità di osservazione dalla famiglia nucleare (genitori-figli) a quella trigenerazionale (nonni-genitori-figli) ha rappresentato un ulteriore avanzamento nell’intervento terapeutico. Questo passaggio ha consentito di rivelare modelli relazionali intergenerazionali, miti e aspettative che esercitano un’influenza significativa sul sistema familiare osservato.
L’osservatore si trova dunque nella posizione di poter formulare “ipotesi trigenerazionali” capaci di collegare le tre generazioni in un progetto evolutivo inscritto nel ciclo vitale (Saccu & De Rysky, 1983). È attraverso questa visione trigenerazionale che si possono comprendere meglio non solo le dinamiche relazionali ma anche le conflittualità individuali (Andolfi et al., 1983).
Blocchi transgenerazionali e funzionalità del sistema
La frustrazione nel passaggio da una generazione all’altra di elementi affettivi, psicologici e funzionali, che caratterizzano reciprocamente la conferma dell’identità dell’altro, contribuisce al blocco transgenerazionale, fonte di numerosi conflitti. Questo blocco compromette la funzionalità del sistema, impedendogli di progredire nel processo evolutivo.
Come evidenziano Onnis e Galluzzo (1994), nell’armonia intergenerazionale, dove ciascuno svolge il ruolo assegnato dal proprio momento evolutivo, risiede il segreto della funzionalità di un sistema familiare. Affinché l’osservazione sia efficace, è fondamentale che il terapeuta abbia raggiunto un buon grado d’individuazione, che gli consenta di gestire i suoi movimenti di entrata e uscita dal sistema osservato, implicando la capacità di legarsi e separarsi dalla famiglia attraverso continue oscillazioni del grado di partecipazione.
La famiglia d’origine del terapeuta: implicazioni cliniche
Le difficoltà relazionali nelle famiglie d’origine degli stessi terapeuti, spesso alla base della loro scelta vocazionale, possono generare reticenza e timore nell’immergersi troppo profondamente nelle complessità dei sistemi familiari disfunzionali. Si evidenzia una dinamica di doppi messaggi: da un lato, la famiglia d’origine del terapeuta che comunica “istruisciti per poter curare le nostre difficoltà psicologiche, anche se con noi non potrai”; dall’altro, le famiglie dei pazienti che chiedono “alleviateci dalle nostre sofferenze, ma senza cambiarci”. Alla sfida esistenziale del primo doppio messaggio si sovrappone la sfida tecnica del secondo (Onnis & Galluzzo, 1994).
Queste dinamiche possono costituire sia una motivazione nella scelta di diventare psicoterapeuta, sia un potenziale “blocco” nell’approfondire le dinamiche familiari, offrendo un ponte interpretativo verso la scelta di una psicoterapia psicodinamica breve come approccio teorico.
Applicazioni nell’ambito della psicoterapia dinamica breve
Nell’esperienza clinica con pazienti psicotici in contesti residenziali terapeutici, risulta inevitabile ampliare i confini oltre “la malattia, il disturbo ascritto e confinato nella soggettività del paziente designato”, particolarmente nella ricerca di risorse attivabili sia internamente che esternamente, e che spesso incontrano forti resistenze. In questi contesti, il terapeuta risponderà secondo le proprie immagini interne, stili e miti familiari.
Gli incontri allargati alla “mappa dei poteri” (paziente, famiglia, servizio inviante) sono caratterizzati da alta emotività espressa, doppi legami, messaggi paradossali e dal bisogno di un intervento esterno vissuto come tribunale giudicante. Sottrarsi a questi richiami è particolarmente difficile quando si porta un’idea precostituita e non elaborata di quale sia il modello “migliore”, con il rischio di triangolazioni inconsce.
La funzione di intermediario nel trattamento degli stati gravi
La necessità di uscire da queste trappole relazionali diventa fondamentale nell’intervento della “funzione di intermediario” (Zapparoli, 2009) nel trattamento degli stati gravi, dove i bisogni del paziente sono spesso negati dal paziente stesso e non riconosciuti o ostacolati dagli altri attori. Questa funzione tra i diversi attori nella mappa dei poteri intorno al paziente richiede un inevitabile coinvolgimento e partecipazione degli stessi al progetto terapeutico, sebbene questo non diventi necessariamente una terapia familiare.
Come dimostra la teoria dei sistemi, un cambiamento in uno degli elementi implica necessariamente una modificazione degli altri membri del sistema e la ricerca di una nuova omeostasi.
Conclusioni
Alcuni interrogativi della teoria sistemico-relazionale nell’intervento terapeutico individuale rimangono rilevanti, soprattutto nei casi gravi (psicosi/borderline). Il trattamento di questi pazienti, anche quando giungono a un terapeuta che pratica terapie brevi, implica un’attenzione sia ai conflitti interni/esterni del paziente sia alle sue modalità relazionali conflittuali nei suoi micro/macro sistemi di interazione. Queste dinamiche risuoneranno inevitabilmente all’interno del terapeuta con le proprie.
Tanto meno conosciuti ed elaborati sono questi aspetti nel terapeuta, tanto più risulteranno confusivi e fuorvianti: non si confronteranno due persone, ma sei generazioni. Quando invece questi elementi vengono elaborati internamente dal terapeuta e chiarificati nel paziente attraverso l’esperienza relazionale terapeutica (mit-dasein), possono diventare momenti di esperienza correttiva emotiva potenzialmente evolutivi per entrambi.
Bibliografia
Andolfi, M., Angelo, C., Menghi, P., & Nicolò-Corigliano, A.M. (1983). La famiglia trigenerazionale. Roma: Bulzoni.
Bertrando, P., & Toffanetti, D. (2000). Storia della terapia familiare. Milano: Raffaello Cortina.
Onnis, L., & Galluzzo, W. (1994). La terapia relazionale e i suoi contesti. Roma: La Nuova Italia Scientifica.
Saccu, C., & De Rysky, M. (1983). Terapia familiare strutturale: elementi teorici. Terapia Familiare, 14, 35-52.
Zapparoli, G.C. (2009). La follia e l’intermediario. Milano: Dialogos.